Sorto sul versante orientale dei monti livornesi, anche Gabbro ha origini medievali: mai citato dalle fonti come castello – nel ‘300 è definito ‘comune rurale’ - l’agglomerato ereditò probabilmente la popolazione dei vicini castelli di Torricchi e Contrino, forse distrutti già nel corso del basso-medioevo.
Il toponimo, dal latino glabrum, allude alla sterilità del suolo, ricco di rocce di origine vulcanica - il “gabbro”, appunto, così battezzato in onore del paese – e trova un curioso parallelo nell’appellativo ‘Pelato’ dato al poggio su cui il paese sorge.
La zona fu oggetto, dal 1547 in poi, di ripetuti tentativi di colonizzazione, voluti dai Medici allo scopo di accrescere la produzione agricola necessaria allo sviluppo del centro di Livorno. L’interesse granducale è testimoniato anche dai resti di numerosi mulini ad acqua, risalenti allo stesso periodo, che sorgevano lungo l’alta valle del Botro Sanguigna e che facevano parte di un più ampio sistema produttivo creato allo scopo di rifornire di grano Livorno, avviata a divenire il principale centro industriale della Toscana.
Lo stretto legame con la città labronica è simboleggiato da Villa Mirabello, ricca e scenografica dimora settecentesca, che sorge sulla sommità di un poggio all’ingresso del paese. Unico esempio nel livornese di un’architettura di ascendenza rinascimentale, che trova confronti con le ville dell’entroterra pisano e lucchese, fu la dimora di campagna della famiglia francese dei Finoyet (che assumerà il nome di Finocchietti), trasferitasi dalla Savoia per la favorevole congiuntura economica offerta dal porto di Livorno.
Per gli appassionati d’arte, il nome di Gabbro rievoca quello di Silvestro Lega, pittore macchiaiolo che vi dimorò dal 1886 fin quasi alla morte e che ne immortalò nei suoi dipinti paesaggi e abitanti.